La mia prima volta…
Da anni nutro una notevole passione per le automobili d’epoca americane. Questa passione mi ha spinto a viaggiare un po’ per tutta Europa, dove i raduni di queste sono ormai avvenimenti consolidati. Essendo pure abbonato a varie riviste a tema, era già da tempo che leggevo articoli di raduni su suolo svedese, e in particolare si parlava di un mitico raduno a Vasteras, che era immenso, con migliaia di macchine…una di quelle cose che un appassionato deve visitare almeno una volta nella vita.
Parliamo di una decina di anni fa.
Così, mettendo via un po’ di risparmi, zaino in spalla presi l’aereo della Ryan che dopo lo scalo londinese, arrivava proprio a Vasteras…
Era il 2001.
Non lo scorderò mai. Già durante il volo ero su di giri. Mi ero seduto vicino il finestrino proprio per vedere tutto il possibile.
Mi ricordo che dalla nebbia britannica, siamo passati ai nuvoloni bianchi che lasciavano intravedere foreste enormi e fitte, prati verdi e viola di lavanda, prati gialli di fiori, querceti, specchi d’acqua ovunque, casette rosse coi bordi bianchi, poche strade quasi deserte che serpeggiavano nella natura…il tutto illuminato da un sole limpido che faceva capolino tra le nubi sempre più rare.
Era la prima settimana di luglio, io ero vestito con dei bermuda, T-shirt, sandali e uno zainetto da sopravvivenza che comprendeva sacco a pelo, materassino, ricambi, infradito, scarpe di ginnastica, poncio per la pioggia, beauty. Acqua e cibo dovevo consumarli al momento dell’acquisto.
Quindi veramente l’indispensabile per mantenere una sopravvivenza decorosa.
Arrivai all’aeroporto locale. Scendendo dall’aereo, cercai subito di ambientarmi, annusando l’aria tersa e guardando il paesaggio circostante illuminato da un sole dolomitico. Dopo i controlli di routine, uscii dal piccolo edificio dell’aeroporto, e cercai subito la fermata del bus che portava verso il centro.
Chiesi informazioni in inglese, e senza battere ciglio ottenni una risposta gentile ed esaudiente.
Mentre aspettavo, nel posteggio osservavo l’andirivieni non caotico di auto che venivano a prendere i vari passeggeri del volo.
Subito la mia attenzione viene rapita da una cadillac del ’63 color crema che si ferma proprio vicinissima. Tre energumeni dentro, che caricano il quarto arrivato col mio stesso volo.
Giusto un saluto veloce e sfrecciano via verso quella che sarà la mia stessa meta.
La scena è da film…
Arriva l’autobus, salgo, guardo l’autista, e tirando fuori qualche spicciolo d’euro, gli chiedo se ha da cambiare.
Lui mi guarda sorridendo e mi dice: “you are wellcome”. Il bus parte e io mi guardo in giro più che posso. Tutto pulito, ordine maniacale, architettura gradevole, nessun recinto, prati verdi e fiori in abbondanza…proprio notevole.
In più queste auto americane ovunque.
Ascolto gli altri passeggeri che chiacchierano questa lingua a me sconosciuta sino ad ora.
Chiedo all’autista di dirmi quando siamo in centro. Alla fermata lo saluto e lo ringrazio. Sono di fronte la stazione dei treni. Approfitto per la toilette e cambiare i soldi. Al banco noto i wurstel che ruotano sulle griglie calde. Quel odore tipico diventerà familiare negli anni. Prendo un menù al volo: wurstel e un’acqua aromatizzata. Per me è la prima volta. Mi giro e mi perdo nelle centinaia di riviste in vendita suddivise per argomenti. Esco, e su di un prato inglese trovo quattro tipi un po’ poco sobri vicino ad una Pontiac del ’68. Chiedo loro dove sia il POWER BIG MEETING, il raduno che cerco. Loro mi guardano stupiti e mi dicono: “questo è il power big meet”.
Io penso che siano un po’ annebbiati dall’alcool, e così mi avvio lungo una strada in cui vedo un particolare traffico di auto americane.
Dopo un paio di chilometri circa, arrivo ad un aeroporto in terra battuta. Immaginate 30 campi di calcio che fungono da posteggio per migliaia di auto americane, le cui cromature creano un continuo scintillio sotto i raggi del sole.
Per un appassionato è come il tuffo mattutino di zio Paperone nei suoi amati dollari del deposito.
Con una parziale lobotomia dovuta alla visione paradisiaca in un contesto naturale altrettanto paradisiaco, inizio a perdermi in questo mare di ferro datato su un tappeto d’erba impeccabile.
Adesso capivo cosa intendevano quei ragazzi. Non era un raduno statico, ma dinamico.
Tutta la cittadina veniva invasa da queste auto, da queste persone, da questa cultura e tradizione.
Passai così tutto il weekend. 20 rullini da 36, centinaia di km a piedi, dormendo su una stupenda panchina in un parco e sfruttando i bagni e docce a pagamento del campeggio. Posti letto impossibile trovare in 50 km di raggio, colazione in stazione dei treni, pranzo e cena al sacco.
Sì, ovvio, un’avventura per alcuni, una pazzia per altri…
Ogni sera a partire dal tardo pomeriggio le persone si radunano tutte attorno ad un anello che fa il periplo della cittadina. E’ il momento del cruising, che durerà fino a tarda notte.
Questi colossi di lamiera, di tutte le marche, di tutte le misure, in qualsiasi condizione, accompagnati dal sound tipico dei loro motori, sfilano a passo d’uomo lungo tutto l’anello, sotto gli occhi divertiti e complici delle persone sedute lungo la strada. C’è chi mangia, chi beve, chi fotografa…tutto in un’atmosfera rilassata accompagnata dalla luce tipica dell’estate svedese che non cede al buio.
E’ una festa, un evento, un ritrovo…è emozionante.
Il susseguirsi dei giorni di questo weekend è magico. Arriva così la domenica mattina.
Con pigrizia gli equipaggi eterogenei delle vetture pian piano decidono di tornare alla vita reale.
Ci si saluta, si ride, si scherza, si impacca tutto, sosta obbligatoria al distributore di benzina, una coca e un hot dog, e via verso casa.
Di auto c’è ne sono veramente molte, e così si formano lunghe file multicolori verso le quattro strade dei punti cardinali.
Domenica sera si libera un posto nelle stanze del campeggio.
Lunedì mattina non sembrava che ci fosse stato nulla.
Tutto pulito, tutti spariti, tutto tornato alla quotidianità.
Io tutto il weekend con un sorriso stupido stampigliato in viso.
La sera presi l’aereo verso casa.
Dentro di me portavo un esperienza unica, dei momenti bellissimi vissuti in totale solitudine.
Avevo voglia di gridare al mondo tutto quello che avevo fatto, visto, vissuto.
Portavo la consapevolezza dentro di me che sarei tornato in questi posti, ma non solo per qualche giorno.
La curiosità di sapere tutto di queste latitudini mi divorava.
Dall’aereo salutai con gli occhi quella terra così bella, che mi aveva regalato sensazioni uniche.
Non era un addio, era un arrivederci.
Ermann